Il periodico “La Missione”, ininterrottamente
dall’anno 1985, stabilisce un contatto
con le persone interessate all’attività del
movimento.

 

Scritti di Don Marco presenti nei Quaderni de "La Missione"

 

(Per avere copia del Quaderno rivolgersi ad uno dei Centri della Missione)

Estratto dal Quaderno Febbraio - Marzo 2007

Dossier: Ritiro del tempo di Natale

IL CREDO COME ESPERIENZA DI FEDE NELLA PRASSI DELLA QUOTIDIANITA' DEI CRISTIANI

1. "IO CREDO IN UN SOLO DIO"

"Di generazione in generazione la sua misericordia su coloro che lo temono"

Parte della sintesi delle riflesssioni svolte da Mons. Luciano Padovese - Como 3-4 gennaio 2007

Introduzione

Dal Natale, il vero volto di Dio Amore

II tema generale di questo ritiro di Natale è "Io credo in
un solo Dio. Di generazione in generazione è la sua mi-
sericordia su coloro che lo temono".

Con questo primo incontro ci introduciamo al tema genera-
le che svilupperemo nel corso di questo anno; "II Credo
come esperienza di fede nella prassi della quotidianità
dei credenti" (se si vuole essere veramente testimoni di
speranza).

Dal momento che siamo ancora in clima natalizio, proprio
per presentare il volto di Dio - Amore, ci affidiamo a una
poesia di Chiara Lubich;

NATALE

«L'invisibile si è reso visibile,
il Verbo si è fatto carne,
la luce ha brillato tra le tenebre
e Dio è disceso sulla terra per noi.

Non c'è dubbio che ci ama.
Se Dio ci ama tutto è più leggibile.
Dietro i tratti oscuri dell'esistenza
si può scoprire la mano amorosa di Lui
perché spesso a noi ignota
non perché Dio non sia Amore».

 

Attingendo al vero volto di Dio cerchiamo il nostro vero volto, cioè cerchiamo noi stessi, la nostra identità di credenti, di cristiani.

Non si tratta di un Dio che si aggiunge alla vita, ma di un Dio che ci fa da specchio, da patner e si rivela veramente nell'alleanza che nasce dall'essere in intimità con lui, dal sentirlo compagno e complice. Un Dio che per essere capito richiede profondità di motivazioni.

L'Antico e il Nuovo Testamento lo definiscono con una serie di parentele, che devono essere assommate e non alternative le une alle altre: Dio Padre, Dio Madre, Dio Fratello, Dio Sposo.

Senza questa profondità di motivazioni perde molto senso la stessa preghiera, il silenzio, la testimonianza, la Messa. Finiamo con l'essere dei "cafoni" perché facciamo passare per vere delle cose false, oppure dei "barboni", cioè persone che si lasciano vivere ma non vivono.

Occorre, perciò, evitare contraddizioni quali:

* l'efficientismo, la patologia di pensare solo a se stessi, il narcisismo, il sentirsi realizzati pensando solo al fare, a tirar fuori "ragni dai buchi", per vivere in profondità il silenzio amico, la contemplazione del volto di Dio - Amore che apre agli altri.

* l'uscire dall'impantanamento di se stessi, dall'egocentrismo, dall'egoismo, dai sensi di colpa, nascondendosi dietro il discorso della buona fede. Se qualcosa è sbagliata occorre valutare come correggere l'errore e non valutare se si ha o non si ha colpa. Occorre quindi uscire da un infantilismo umano e religioso ed essere infantili con Dio, nel senso di bambini di Dio, perché Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza.[...]


 

Estratto dal Quaderno - Novembre 2006

Dossier: SPERANZA E MISERICORDIA
Per un cammino di fede adulta e di amore cristiano

Dalla registrazione delle riflessioni guidate da Mons. Luciano Padovese.

Questo corso di Esercizi Spirituali è l’ultimo appuntamento annuale del percorso di formazione permanente de “La Missione” sul tema: “Testimoni della speranza”. Vuole far suo l’obiettivo della Chiesa italiana nel Convegno di Verona “Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo” e fa tesoro dell’enciclica di Papa Benedetto XVI “Deus caritas est”. Il corso intende offrire concrete indicazioni di speranza e carità attraverso le sette opere di misericordia spirituale.

1^ PARTE
IN UN CAMMINO DI FEDE ADULTA
“DARE RAGIONE DELLA SPERANZA” NELL’ESERCIZIO DELLA CARITÀ


Introduzione: E’ BELLO STARE QUI
1. SPIRITUALITÀ E SERVIZIO
Dall’unione con Dio all’accoglienza dei “poveri” (Deus caritas est)


In questa prima riflessione prendiamo spunto dalla liturgia della solennità della Trasfigurazione per sottolineare che per introdursi ad un corso di Esercizi spirituali è necessario porsi in una dinamica interiore per dare, da veri cristiani, una testimonianza di speranza, a se stessi e agli altri.
In questo nostro tempo, spesso, i cristiani sono una contro testimonianza: a fronte di un moralismo crescente c’è poca autenticità di testimonianza.
In questi giorni è importante rientrare in se stessi, rafforzare le proprie motivazioni, “rinsanguare le proprie anemie” per cogliere in profondità il senso della speranza che è in noi e di cui dobbiamo dare testimonianza. Da qui il bisogno di trasfigurarsi, cioè che le vesti diventino splendenti, come dice il Vangelo. Le vesti che Gesù indossava abitualmente, quotidianamente, diventano luminose, si trasfigurano sul Tabor. Le vesti significano la quotidianità, il proprio modo di vivere, a cui dare splendore, trasfigurare in una positività nuova.
Una seconda osservazione. Le esperienze spirituali assumono spesso degli equivoci, cioè si credono belle, significative, proficue se scuotono. Ma una stupenda preghiera dice: <<Padre santo, effondi la rugiada del tuo amore…>>. La rugiada dice vitalità, delicatezza, gentilezza…, diverse dalla violenza, dal frastuono…
Nella Bibbia, ancora, si parla di una caratteristica preminente dell’incontro con Dio e con se stessi: la verità che non si trova nella tempesta, nel vento impetuoso, ma nel vento leggero, nel mormorio, nel soffio. Esattamente il contrario della cultura moderna e di molte correnti religiose che per provare la propria presenza devono provocare meraviglia, fare rumore, paura.
Da qui il bisogno di silenzio per rientrare in se stessi, nella profondità del proprio io e cogliere nella “brezza leggera” il Signore che parla e che senza fare violenza dice: <<Se vuoi…>>.
Il punto dolente per il cristiano di oggi è la difficoltà di dare testimonianza della speranza. Già l’apostolo Pietro, quando battezzava, raccomandava di dare ragione della speranza. La Chiesa, ancora oggi, raccomanda nei suoi documenti di essere testimoni di speranza a dei cristiani che faticano ad avere un minimo di positività.
Quali sono allora le coordinate fondamentali per essere testimoni di speranza, prima in noi e poi per gli altri? Alcune indicazioni.
* Essere contemplativi nell’azione, cioè ritrovare e mettere al centro della propria vita il mistero del primato assoluto di Dio. Per tutti, anche per il laico più assoluto, è necessario essere mistici, recuperare il senso del mistero. Mistero che è verità accogliente di un Dio che ti viene incontro nella gentilezza del silenzio, del vento leggero. Un Dio che per primo si mette a disposizione totale dell’uomo. E’ quanto accade nel sacramento della confessione: mistero di un Dio che ti viene incontro per accoglierti e darti speranza, perché possa anche tu accogliere l’altro e dargli speranza e vedere anche lui come mistero da cui attingere, come da un pozzo profondo, ricchezze ed energie.
* Saper mettere il mistero del primato di Dio nella propria vita a servizio di se stessi e degli altri. Mistero da vivere nella strada, nella vita, nella quotidianità. Ecco allora la trasfigurazione, dove le vesti del quotidiano diventano di luce, di servizio, di speranza. Se sono accolto devo accogliere; se ricevo devo dare; se sono grande nelle mie esperienze interiori devo essere grande negli atteggiamenti esterni di accoglienza, con una evidenza di verità e non di funzionalità. Dare testimonianza perché <<sono così>>, perché <<ho preso da Dio>>, dalla sua profondità, dal profondo di me stesso abitato da Lui, che mi ha “contagiato” di fiducia, di positività, di dono, di gratuità.
Per portare un contributo di speranza occorre, quindi, ritornare alle radici, a Gesù Cristo e sentire profondamente il senso religioso.


Gli scritti di Don Marco Cinquetti per la Missione


Velina Straordinaria

Carissime,
la Missione ha origine nella contemplazione. Ciò che caratterizza l’atteggiamento fondamentale della Missione, nei riguardi di altri atteggiamenti verso gli uomini e le donne, è che esso concerne l’aspetto religioso. La contemplazione è legata alla missione, perché è nella misura in cui si è compreso quello che è Dio, Uno e Trino, e fino a che punto il fatto di conoscerlo e di amarlo in Cristo è costitutivo di un umanesimo totale e di una esistenza completa, che si soffre e si è sorpresi che lui non sia conosciuto e non sia amato e che, perciò, gli “altri” si sentano nell’assurdo, perduti, confusi e vivano come “quelli che non hanno speranza” o non possiedano la piena conoscenza e confessione del vero Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Alla base dell’atteggiamento missionario, c’è una specie di scandalo per questo rovesciamento dei valori, perché Cristo occupa così poco spazio nelle preoccupazione degli uomini, mentre il resto ne ha tanto. C’è la presa di coscienza di una certa assenza di Dio nel mondo e che l’Amore non è accolto e amato. Nella misura in cui ci rendiamo conto di come il Padre meriti di essere amato, si desidera che il Padre sia anche amato dagli altri e si soffre che egli sia sconosciuto o misconosciuto. Così, nello zelo della missione che lo divorava, San Paolo aveva sete di far conoscere il vero Dio agli uomini, perché sapeva, come dice sant’Ireneo, che “la vita dell’uomo è la visione di Dio”.
Non c’è dunque opposizione tra contemplazione e missione. L’idea che ce ne possa essere una e che occorre scegliere tra l’una e l’altra è assurda. Al contrario, la missione appare come lo sviluppo della contemplazione.

Velina Straordinaria
II parte

... Un santo è sempre qualcuno che ha il senso della grandezza di Dio Padre, che è stato preso da Cristo e, pieno di questo amore, desidera comunicarlo e parteciparlo, come si desidera parlare di quello che ci riempie il cuore. Se non parliamo più di Cristo, è perché il nostro cuore non ne è abbastanza pieno. II cuore pieno di Cristo parla di Cristo e ne parla senza sforzarsi, mentre noi spesso ne parliamo con fatica perché il nostro cuore non ne è abbastanza ardente.
Ci sono monaci che hanno il cuore pieno di Cristo, ci sono apostoli che hanno il cuore pieno di Cristo, ci sono giovani che hanno il cuore pieno di Cristo, ci sono bambini con il cuore pieno di Cristo.

Evidentemente non bisogna aspettare di essere completamente pieni di Cristo per parlare di lui, perché si potrebbe aspettare indefinitamente. C'è come una causalità reciproca. II contatto con la gente è spesso un richiamo alla preghiera... esiste una reciproca causalità tra contemplazione e missione; se abbiamo parlato di Cristo agli altri e abbiamo avuto questa preoccupazione "missionaria", proviamo il bisogno di pregare di più. Alla sera di certe giornate nelle quali si è sentito il peso della "missione", si ha il bisogno di confidare a Cristo questo "carico" che ci schiaccia. Allora, nell'intimità silenziosa e così semplice del nostro cuore con il Padre, tutto è messo in comune: Dio Padre porta il peso con noi e noi con il nostro Dio. In quel momento il nostro spirito si apre e viene interamente penetrato da una intensa presenza divina.

E' necessario che proviamo tutto questo profondamente e che prendiamo coscienza del pericolo rappresentato talora da un certo "fare" o da un certo attivismo superficiale, per mantenere nella Missione il primato dell'orientamento spirituale, il primato del desiderio di comunicare Cristo agli altri e particolarmente alle altre.

Senza minimizzare il dovere della misericordia corporale, che oggi si esprime principalmente attraverso il servizio sociale, il servizio internazionale e l'aiuto ai paesi sottosviluppati sotto differenti aspetti, un cristiano (noi de "La Missione") non deve mai dimenticare che la prima miseria è quella spirituale.

Lo spirito de "La Missione" è una forma di amore per gli altri, una forma di carità perfetta (donarsi interamente) che ci apre alla misericordia spirituale. E' una presa di coscienza della nostra miseria spirituale, da cui desideriamo seriamente toglierci per aiutare altri a liberarsene in Cristo.

2. continua

 

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